Non è vero ma ci credo (recensione)

Il regista Leo Muscato proprio con questo testo, a poco più di vent’anni, debuttò nella compagnia di Luigi De Filippo

immagine di un uomo seduto alla scrivania
m&s - Enzo Decaro è Gervasio Savastano (foto di Samanta Sollima)

Gesti scaramantici, portafortuna, oggetti anti iella. Sedendosi a teatro, per assistere a “Non è vero ma ci credo” per la regia di Leo Muscato, la tentazione di guardarsi intorno e cercare di scoprire quali piccole superstizioni potessero celarsi in ogni spettatore è stata difficile da superare ed anche il celebre aforisma di Oscar Wilde “Il miglior modo di vincere le tentazioni è cedervi” non ci ha aiutati. Ma abbiamo vinto la nostra curiosità, concentrandoci prima sul pensiero del nostro eventuale portafortuna e poi sullo spettacolo al quale avremmo assistito, ormai diventato un classico della cultura teatrale, con Enzo Decaro nei panni del protagonista.

La storia, scritta ormai cent’anni fa da Peppino De Filippo, ispirandosi a “L’avaro” di Molière che tanto amava è stata rivisitata dal figlio Luigi De Filippo rispettando “tutta la struttura del capolavoro di ingegneria comica” (parole di Enzo Decaro) che era, trasportando la vicenda dagli anni ’30 agli anni ’80 di Maradona, Pino Daniele e Mario Merola, riducendo i tre atti originali ad uno, ma mantenendone i capisaldi che mettono in risalto la forza innovativa di una testo che ha dato origine alla commedia così come la conosciamo.

Andiamo però con ordine: il commendatore Gervasio Savastano è un uomo d’affari che vive nel perenne incubo di essere vittima della iettatura. La sua routine quotidiana è fatta di gesti scaramantici che partono dalla mattina quando si sveglia alla sera quando tecnicamente dovrebbe andare a letto per riposarsi; ma anche il suo sonno è condizionato da interpretazioni di sogni, incubi e presagi. Queste manie, che da piccole sono diventante di entità enorme, purtroppo coinvolgono sia la famiglia che i dipendenti e collaboratori creando non poco disagio. La scrivania deve avere una determinata posizione e così la cornetta del telefono; la posta deve essere collocata secondo un preciso schema e qualsiasi interferenza è vista come eventualmente nefasta. Nel momento in cui i suoi affari non stanno andando bene si convince che tutto sia dovuto alla presenza del ragioniere Belisario Malvurio che quindi decide di licenziare in tronco. In più la figlia Rosina è innamorata di un giovane che il Commendatore ritiene non all’altezza della figlia e per di più portatore di sfortuna.

Gesti scaramantici, tra cui “sforbiciare” l’aria per tagliare la sfortuna che aleggia, sembrano non servire a nulla, finché al colloquio per sostituire Malvurio non si presenta il giovane Alberto Sammaria che dalla sua, oltre al nome “benevolo”, ha un difetto fisico “meraviglioso”: ha la gobba! E si sa, se vedere un uomo con la gobba porta fortuna, toccarla è magnificenza, un uomo con tale “peculiarità” che lavora per te… Ed infatti tutto pare filare liscio: un affare che non si riusciva a chiudere si conclude a favore del commendatore, l’uomo con il quale era in corso una causa muore senza lasciare eredi, gli incubi svaniscono, fino al momento in cui Sammaria confessa a Savastano di essersi innamorato di Rosina.

Può l’amore di un padre passare sopra ad un handicap fisico così evidente? Può la credenza, anzi, la “scienza esatta del regolamento antisfortuna”, essere più forte dei dubbi? Può una commedia trasformarsi in tragedia e viceversa? Tutte domande alle quali si può trovare risposta nella divertentissima piéce “Non è vero ma ci credo”, uno spettacolo corale nel quale (ovviamente) spicca Enzo Decaro nel ruolo del superstizioso commendatore. Una recitazione dai toni discreti, dolci, sornioni, per un’interpretazione che porta la commedia ad essere “trasversalmente partenopea”. Commedia nella quale ruolo importante ha avuto Luigi De Filippo, che con la sua riscrittura ha rinnovato, ma non snaturato, il testo del padre, creando un ponte tra tradizione e cambiamento e che anche grazie alla regia di Leo Muscato (che con lo stesso Luigi aveva lavorato e proprio in questa commedia) appare quanto mai attuale. La diffusione delle false credenze, argomenti spacciati per verità che divengono “una scienza esatta” e che nel teatro di De Filippo sono pregni di superstizione mentre nella vita reale si traducono in “fake news”, fanno ridere, ma anche riflettere, grazie alla descrizione psicologica dei personaggi.  

Assistendo allo spettacolo si ride, tanto: le battute non sembrano sentire il peso degli anni (Si è fatto tardi, che ore sono? / Si è fermato l’orologio / Anche il mio commendatore / Anche quello nel corridoio / Noooo! Malvurio è riuscito a fermare il tempo!), anche grazie all’interpretazione dell’intera compagnia e ci piace pensare come grandi del cinema quali Mel Brooks possano aver tratto ispirazione da “Non è vero ma ci credo” per “Frankestein Junior”: come non associare i nitriti dei cavalli al nome Frau Blucher ai tuoni e fulmini scatenati al minimo pronunciare Malvurio? Sappiamo da interviste rilasciate da Brooks che non è così, ma vorremmo credere ad un’eventuale omissione di questa particolarità da parte sua. Si ride abbiamo detto, ma si riflette e si arriva ad intristirsi nel perfetto equilibrio che esiste tra commedia e tragedia, pensando a come le credenze di un tempo, le superstizioni, l’additare una persona come portatrice di iella non siano cambiati molto: ed il ricordo va alla compianta Mia Martini o a Marco Masini che, come nella commedia di De Filippo, al contrario della Martini, ha trovato riscatto nell'affetto dei fans.

Efficace l’allestimento scenico con cambio scena a vista grazie agli attori che, come in ogni perfetta commedia dell’arte, diventano all’occorrenza “servo di scena” ed ad un ovvio, ma non scontato, sapiente uso di luci e oscuramenti ad hoc. Pochi elementi che suggeriscono l’ufficio piuttosto che la casa del Commendatore, dei “lampioni nuvola” con relativo ombrello per “ripararsi dalla pioggia di sfortune” ed uno strumentale fondale/tenda a larghe bande trasparenti che funge da separazione, da riflesso delle luci, da corridoio di scomparsa per gli attori e che nel finale viene spostato quasi sul proscenio. Un elemento di distanza, ma anche di unione, forse un altro simbolo di quella sottile linea che divide il “non è vero", ma nell'incertezza "ci credo!” D’altra parte, come diceva un altro De Filippo, il grande Eduardo: “Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male”.

I DUE DELLA CITTÀ DEL SOLE
presenta
ENZO DECARO
in
NON E' VERO MA CI CREDO
di Peppino De Filippo
regia Leo Muscato
con Francesca Ciardiello, Carlo Di Maio, Roberto Fiorentino, Massimo Pagano, Gina Perna, Giorgio Pinto, Ciro Ruoppo, Fabiana Russo, Ingrid Sansone
scene Luigi Ferrigno
costumi Chicca Ruocco
disegno luci Pietro Sperduti
durata un atto unico di 90 minuti

giornalista
A 25 anni volevo lavorare nel mondo del Teatro. Ora ne scrivo con la stessa passione di allora, facendo molte incursioni nell'arte e meno nella musica.
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