Woyzek (recensione)

Un dramma più che attuale, rivisitato da una "penna" ancora più attuale con cui riuscire "a guardarci dentro" anche se "gira la testa"

immagine dello spettacolo con due attori in scena
m&s - una scena di Woyzek (foto di Roberto Cerè)

Woyzeck è diventato nel tempo un'opera musicale e un film, ma è e rimane un dramma aperto. Aperto, perché rimasto incompiuto a causa della morte dell'autore; aperto, perché scritto in maniera frammentaria e giunto a noi in una sorta di puzzle da ricomporre; aperto perché, pur avendo un finale assolutamente inequivocabile, lascia allo spettatore diverse possibilità di interpretazione che, paradossalmente, portano comunque alla stessa tragica conclusione.

Il soldato Woyzeck (Andrea Lupo) vive nel "peccato" o meglio, questo è quello che la società pensa e gli fa pensare: ha infatti avuto un figlio da Marie (Michela Lo Preiato) senza essere sposato. E' anche un barbiere tuttofare che si presta a qualsiasi richiesta, pur di racimolare qualche soldo in più da portare a casa. Eccolo fare da cavia ad un medico (Camilla Ferrari) e mangiare per tre mesi solo piselli. La "presenza" di Woyzeck su più fronti lavorativi, non solo quelli da soldato, si trasforma in "assenza" nei confronti di Marie che rimane affascinata dal Tamburmaggiore (Giovanni Dispenza). Cedendogli, rompe in qualche modo il difficile equilibrio psicologico ed emotivo del soldato, già provato dalla fatica e dagli esperimenti, scatenando una serie di eventi che non possono portare a nulla di buono.

Andrea Lupo e Giovanni Dispenza hanno raccolto i frammenti di Büchner e hanno deciso di seguire, fin dal principio, il filone del "puzzle" anche per quanto riguarda l'aspetto "ludico" cercando di enfatizzare, quanto più possibile, l'aspetto più infantile di Woyzeck, trasportandolo sia nell'aspetto recitativo che in quello della messa in scena. I personaggi si "muovono" dentro e fuori da una gabbia metallica che occupa tutto il palcoscenico. E' una gabbia che strizza l'occhio ai giochi dei parchi per bambini, sui quali arrampicarsi e, appunto giocare - "Uno, due, tre ... attenti!" - provare a superare la paura dell'altezza o attraverso la quale guardare ma, purtroppo, qualcosa attraverso la quale essere anche e sempre guardati, come un animale o come una cavia come viene trattato Woyzeck. E' nello stesso tempo qualcosa a cui appoggiarsi, attaccarsi, aggrapparsi con forza quando qualcosa non va per il verso giusto ed è qualcosa di estremamente modulabile tanto che, sul palco, la gabbia, la struttura, viene di volta in volta dagli attori girata, spostata, capovolta, per trovare l'incastro perfetto, "cucire" un frammento di testo ad un altro, unire un quadro all'altro.

E così Marie è in gabbia quando si trova a casa, sola, a cullare il bimbo canticchiando una ossessionante ninna nanna che rimane nelle orecchie (Pim pim pallo / Cicci va a cavallo) e vede fuori passare il Tamburmaggiore. E' in gabbia quando cede alle sue avances perché imprigionata dalla sua stessa bramosia. Ed è, come tutti i personaggi, rinchiusa nella propria gabbia mentale, quanto e più di Woyzeck che si sente sempre guardato, osservato, criticato dagli altri; altri tra l'altro simbolicamente rappresentati da dodici maschere affisse alle quinte del palcoscenico.

Come nel gioco, nei puzzle per primo, quando l'incastro non funziona, appunto, si perde la pazienza, si "spezza" qualcosa. E quando Woyzeck scopre il tradimento da parte di Marie dentro di lui si rompe il filo conduttore del suo concetto di famiglia e di fedeltà, seppur vissuta nell'amoralità del non matrimonio e il soldato esce da una gabbia - quella dell'abitudine, della volontà di mettersi al servizio altrui per guadagnare come dovrebbe fare un uomo per la sua famiglia - per, probabilmente, entrare successivamente in un'altra, molto più dura e solamente suggerita allo spettatore. 

Gli incastri in scena al contrario funzionano perfettamente. Tutti e quattro gli attori muovono la struttura apparentemente molto facilmente, trasformando la tensione dello sforzo fisico in movimenti che spesso sembrano passi di danza o che, in considerazione dell'idea alla base della messa in scena, assomigliano a momenti di gioco anch'essi, spesso presi in prestito all'arte circense. Gioco che, in maniera più sfacciata o crudele, è presente in ogni quadro dello spettacolo: Cristianuccio - il bambino di Woyzeck e Marie - è una bambola di pezza (a sottolineare sempre di più l'aspetto fanciullesco dei protagonisti); la coppia, in libera uscita alla festa del paese, è attratta da qualcosa simile al circo e Woyzeck osserva affascinato una "bestia", non rendendosi conto di guardare quasi un'immagine riflessa di se stesso, oggetto di attenzioni ed esperimenti. La stessa Marie, ormai prigioniera del proprio peccato ed anche dei sensi di colpa, appare in scena seduta, abbandonata con la testa reclinata e le gambe scomposte come una bambola, anche un po' inquietante.

Gli attori rendono appieno il disagio interiore, la lotta, la sofferenza e la crudeltà dell'animo umano, la fragilità alla base delle azioni dei protagonisti della vicenda mantenendo costante per un'ora e mezzo di spettacolo la tensione ed il ritmo di un testo non facile, né per ricostruzione dei frammenti, né per contenuti. Notevole lo sforzo fisico, sia nello spostamento della struttura che nelle evoluzioni circensi - sostenute da tutti gli attori in parti più o meno ampie - che avrebbero potuto "spezzare" la voce durante la recitazione e che invece sono state superate senza difficoltà.

La scelta registica - grazie al contributo degli elementi scenografici - mette in evidenza non solo il punto di vista "fanciullesco" di Woyzeck, ma anche e soprattutto l'inquietudine, l'ossessione, strizzando l'occhio ai grandi maestri dell'ossessione, primo tra tutti Dario Argento con Profondo Rosso. La nenia canticchiata più o meno sottovoce, il punto di vista dall'alto della gabbia, la "bambola" nella quale si trasforma Marie, i toni cromatici dati allo spettacolo, ricordano spesso la delirante atmosfera cinematografica mettendo in risalto come, nell'animo umano, "a guardarci dentro gira la testa."

WOYZECK
a guardarci dentro gira la testa
di Georg Büchner
adattamento e regia Andrea Lupo e Giovanni Dispenza
con Andrea Lupo, Giovanni Dispenza, Camilla Ferrari, Michela Lo Preiato
scene Matteo Soltanto
disegno luci Pietro Sperduti
musiche originali Angelo Adamo
aiuto regia Marco De Rossi
consulenza linguistica Alessia Raimondi
elementi scenografici Giuseppe Pistorio
produzione Teatro delle Temperie
con il sostegno della Regione Emilia - Romagna

giornalista
A 25 anni volevo lavorare nel mondo del Teatro. Ora ne scrivo con la stessa passione di allora, facendo molte incursioni nell'arte e meno nella musica.
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