Jesus Christ Superstar (review)

Vedere uno spettacolo del genere "val bene" prendere un aereo anche tutte le settimane. Enrico di Navarra l'avrebbe detto

la locandina di Jesus Christ Superstar
m&s - la locandina di Jesus Christ Superstar

In fin dei conti un volo economico dall'Italia costa quanto un Roma-Milano in treno. Assurdo? forse, ma l'amante del musical è disposto a fare assurdità, in questo caso ben ripagate. Ma facciamo un passo indietro di appena qualche decennio, per comprendere meglio la nostra assurda (forse) tesi.

Tanti anni fa un 22enne compositore riusciva a portare verso il "lato oscuro del musical" (cit.) il suo grande amico e coautore, con il quale due anni prima aveva ufficialmente debuttato con un “Joseph and the Amazing Technicolor Dreamcoat” di appena 20 minuti. Nacque così l’album doppio con Ian Gillan che prestava la sua voce da "Child in Time" a Gesù, Murray Head era Giuda e Yvonne Elliman (sentita cantare da Andrew Lloyd Webber in un club londinese) Maria Maddalena. Dal disco al teatro il passo è veramente breve, mentre ci vogliono tre anni in totale perché si arrivi anche al cinema, con una pellicola rimasta leggenda, diretta da Norman Jewison. La Elliman mantiene il suo ruolo, Giuda è Carl Anderson, purtroppo scomparirà nel 2004, e il ruolo di Gesù è affidato a Ted Neely, ancora oggi protagonista dello show nella versione italiana del Teatro Sistina di Roma, firmata da Massimo Romeo Piparo e portata recentemente in tour europeo.

Questo lungo preambolo per significare quanto Jesus Christ Superstar sia alla storia del musical, quasi quanto Jimi Hendrix a quella della Fender Stratocaster. Pensavamo - e ci sbagliavamo - che non sarebbe più stato possibile rinnovare un “prodotto” ancora ben vendibile, con file e file di estimatori alle porte dei botteghini dei teatri di tutto il mondo, ma il bello di questo mestiere è anche quello di riuscire ad entrare in una sala (grande come quella del Barbican Theatre di Londra), pensando di vedere qualcosa di ampiamente conosciuto e trovarsi invece di fronte ad uno spettacolo "classico" nel suo insieme, ma allo stesso tempo innovativo.

Partiamo dall'allestimento dello show, regista (Timothy Sheader) e designer (Tom Scutt), forti di un budget sicuramente non low cost, hanno potuto dare concretezza ad ogni possibile (e geniale) fantasia, conferendo alla loro visione del JCS un taglio rock, ovviamente, ma contemporaneo, che strizza l’occhio, in forma di tributo, alla versione originale degli anni '70, ma allo stesso tempo si proietta in avanti, declinando tutto in una forma concettuale legata a stage e rock band.

Costumi e atteggiamenti appartengono al mondo della musica, così come tutti gli oggetti di scena: chitarre, microfoni, aste, supporti, altoparlanti. Si guarda perfettamente al passato, per offrirsi, però, ad un pubblico contemporaneo e andare oltre. In un'altra occasione (e altra nazione), altro spettacolo e risultato, abbiamo assistito al tentativo di commistione tra chitarre elettriche e contesto storico, ma con risultati imbarazzanti. Qui solo l'entrata in scena di Erode (Samuel Buttery) vale da sola il costo del biglietto. Inutile dire che tutte le componenti tecniche dello show (girevoli, luci, ecc.) sono sullo stesso piano qualitativo, ma di questo non avevamo dubbio.

La band è ospitata in due enormi tralicci ai lati del palco, per noi che guardiamo: a sinistra trova posto la parte più rockeggiante e il direttore (Ed Bussey), sulla destra i fiati (in totale sono impegnati 12 musicisti). Le due torri sono comunque sfruttate anche dai performer per alcune sequenze suggestive che evitiamo di raccontare, perché vale sempre lo stesso discorso: il teatro va visto in teatro, anche quando è così lontano. Ma bisogna fare in fretta perché è in scena fino al 24 agosto 2019.

Anche l'ensemble è all'altezza del suo compito e i 18 danzatori sono perfettamente sincronizzati nei vari quadri che compongono il racconto. Last but not least, il cast: un gruppo di artisti che, a parere di chi scrive, tutti vorrebbero nella propria compagnia. Gesù (Robert Tripolino) e Giuda (Ricardo Afonso) guidano, per i loro ruoli, tutti gli altri, anche inutile tesserne le lodi per non rischiare di fare un elenco sterile e noioso: sono molto bravi e questo basta. Se proprio vogliamo fare una inconsistente osservazione, siamo abituati ad una Maria Maddalena (Sallay Garnett) dalla tonalità appena più alta, ma si tratta di abitudini all'ascolto e gusto personale, che quindi contano meno di nulla.

Le circa due ore della rappresentazione scorrono via in un attimo e quando al termine del secondo atto la compagnia si schiera per ricevere l’applauso finale e ringraziare, i 1158 presenti (la replica è in sold out) si alzano in piedi per circa 5 minuti di ringraziamento, da noi a loro, assolutamente meritato. Peccato, siamo riusciti a trovare un difetto, non abbiano voluto ringraziare a loro volta con un “encore”, che tutti avremmo sicuramente gradito. Consideriamo, però, che si tratta di una pomeridiana, tra meno di tre ore la stessa compagnia si ripresenterà al pubblico e siamo sicuri che la quantità di applausi sarà la stessa. Quasi quasi torniamo, per verificare.

The Regent's Park Open Air Theatre Production
presenta
JESUS CHRIST SUPERSTAR
di Andrew Lloyd Webber (musiche) e Tim Rice (testi)
con Robert Tripolino, Ricardo Afonso, Sallay Garnett, Matt Cardle, Samuel Buttery, Cavin Cornwall, Nathan Amzi, Matthew Harvey, Tim Newman
regia Timothy Sheader
scene Tom Scutt
coreografie Drew McOnie
supervisione musicale Tom Deering
disegno luci Lee Curran
suono Nick Lidster per Autograph
musicisti Ed Bussey, John Donovan, Justin Shaw,
Phil Donnely, Neil Brock, Bryan Smith, John Barclay,
Alan Berlyn, Simon Minshall, Matt Gunner, Kate Ingram
durata due atti di 115 minuti, intervallo escluso

giornalista
Nasco informatico e scontroso decenni fa, da meno anni sono anche giornalista e sempre scontroso. Di recente ho scoperto i social (ma non li ho ancora capiti).
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